“Ricordati la notte di San Pietro. L’alba spuntava dietro Monte Cavo e tu ti gettasti in ginocchio davanti a me: volli usarti misericordia: tu eri mia, se io avessi voluto, perché non avevi la forza di resistere all’amore che sentivi per me. Improvvisamente mi venne quest’idea: poiché io t’avevo detto parecchie volte che da un pezzo ti avevo sacrificato la mia vita e tutto quello che avevo di più caro al mondo, tu mi potevi rispondere che tutti quei sacrifici non convalidati da alcun atto esterno potevano essere anche immaginari. Ed ecco che un’altra idea m’illuminò, crudele per me, ma in fondo giusta. Pensai che non a caso io avevo la possibilità di sacrificare al tuo interesse la più grande felicità che mai mi fosse dato sperare. Tu eri già tra le mie braccia, e senza difesa, ricordati: la tua bocca stessa non osava rifiutare”. Queste frasi cariche di passione sono contenute nel romanzo breve “La badessa di Castro”, pubblicato a Parigi nel 1839 da Henry-Marie Beyle, meglio noto col nome di Stendhal (nella foto, 1783-1842).
La storia, ambientata nell’area dei Castelli Romani e di Rocca di Papa in particolare, con le atmosfere dell’allora convento di Monte Cavo (oggi ridotto a poco meno di un rudere) narra l’amore travagliato tra una fanciulla di nobili origini, Elena di Campireali, costretta a farsi suora, e il brigante Giulio Branciforti.
Siamo verso la metà del ‘500 e la storia narrata da Stendhal, secondo i critici, ha quasi sicuramente un fondamento storico. Sembra infatti che Stendhal, durante il suo soggiorno in Italia del 1883, si sia ritrovato tra le mani alcune carte contenenti informazioni su pene capitali e relazioni di omicidi, entrambe di epoca rinascimentale. Di questi curiosi documenti si era fatto trascrivere quattro cronache in particolare, tra cui appunto “La badessa di Castro”.
L’edificio monumentale dell’antico Mons Albanus ricorre spesso in questo romanzo, arricchendolo di “vibrazioni” particolari e profonde, come quando Stendhal narra che “in quel momento al convento di Monte Cavo suonò l’Ave Maria del mattino e quel suono, per un caso miracoloso, arrivò fino a noi”. Pare di sentirlo ancora oggi il suono di quella campana, ancora esistente sul campanile con il peso dei suoi anni e delle sue storie.
Ancora più avanti nel romanzo, Stendhal continua a subire il fascino del convento: “Se non ci fosse stato un intervento soprannaturale, come mai quell’Ave Maria sarebbe potuta arrivare a noi da tanto lontano, attraverso le cime degli alberi d’una buona metà della foresta, agitate in quel momento dal vento del mattino? Ti ricordi? T’inginocchiasti, e io mi levai in piedi, mi trassi dal petto la croce che porto, e tu giurasti su questa croce, che è qui davanti a me, e sulla tua dannazione eterna, che in qualunque luogo ti fossi mai trovata, qualunque cosa ti fosse mai accaduta, appena io te ne dessi l’ordine, tu ti saresti messa interamente a mia disposizione, com’eri in quel momento che l’Ave Maria di Monte Cavo ti giunse all’orecchio da tanto lontano”. Fino a quando il brigante, preso dalla passione più sfrenata, dice alla sua Elena: “Ebbene! per l’amore che allora tu sentivi per me, e se, come temo, tu te ne sei scordata, per la tua dannazione eterna, io ti ordino di farmi entrare questa notte nella tua camera o nel giardino del convento”.
Ciò che accadde quella notte dovrà essere il lettore a scoprirlo.
Nel romanzo ci sono continui riferimenti al lago Albano, alla foresta della Fajola, sfondo selvaggio della vicenda, che l’autore deve avere sicuramente ammirato con i suoi occhi. Lo stile tragico e sublime del romanzo di Stendhal vede la fine della badessa profilarsi nella coraggiosa scelta di scampare alla tortura della santa inquisizione, mediante la propria consegna al suicidio.
Un romanzo che vale la pena sicuramente di leggere o rileggere.
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